Viviamo in un mondo in cui la felicità sembra proprio essere una chimera, qualcosa di inarrivabile. A quanto pare, siamo destinati ad inseguirla, questa felicità, senza poterla, di fatto, mai raggiungere. Secondo le regole imposte dalla società, dove fanno la voce grossa i mass media con le loro pubblicità colorate ed ipnotiche, per essere felici occorre avere cose che ci facciano essere alla moda, riempiano i nostri armadi, garage, o completino l'arredo delle nostre case.
Siamo stati abituati, durante l'educazione-programmatica o processo di addomesticamento, a cercare la felicità ad di fuori di noi. Per essere felici bisogna avere, fare, frequentare le persone giuste, avere lavori super pagati, essere sposati, vivere in certe zone residenziali di lusso. Nessuno però, o pochi, è riuscito ad essere felice pur possedendo il superattico, l'auto di lusso o frequentando il jet set.
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Ma come mai non riusciamo ad essere felici pur possedendo tutto ciò che dovrebbe renderci la Vita comoda, più facile? Perché nella nostra società sempre più persone sono tristi, ansiose, depresse, non si sentono realizzate e hanno difficoltà nei rapporti interpersonali?
La verità è che la nostra è una società dove si tende molto a curare l'apparenza, l'estetica fine a se stessa, una società materialista, superficiale, ipertecnologica, dove la macchina è stata anteposta al sentimento umano. In questa società le persone non sono più capaci di vedere il bello, di gioire per il solo fatto di essere vive, semplicemente perché hanno i paraocchi.
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Questi paraocchi sono frutto dell'educazione-programmatica alla quale veniamo sottoposti durante l'età scolare. A scuola, così come a casa, quando frequentiamo gli amici, i parenti, i luoghi di ritrovo, c'insegnano e ce lo ripetono fino all'inverosimile che per essere felici dobbiamo fare, fare, fare per poi essere e avere e che solo allora potremo definirci felici e realizzati.
Qualcosa non quadra però... Più che persone felici, in giro, noto persone dipendenti da situazioni, altre persone o cose, ciò nella speranza che li rendano felici. Alla fin fine, la nostra è una società che ha creato persone dipendenti dall'esterno, ma non uomini felici.
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Tutto questo capita perché si guarda, si è sempre guardato, nella direzione sbagliata: l'esterno. Fuori è solo una proiezione della nostra interiorità. Per trovare le cause della nostra felicità occorrerebbe guardare dentro, perché è da lì che tutto parte, è quella l'origine del nostro mondo esterno, quello che ci circonda quotidianamente, quello dove viviamo.
Fuori non esiste, le cose, le persone, gli eventi che ci arrivano sono semplici riflessi in uno specchio che si limita a rimandare la luce che proviene sempre da noi. Di conseguenza, noi siamo la causa della nostra felicità, fuori è solo un effetto e, se non siamo in grado di essere felici nelle interazioni col mondo esterno, ciò è dovuto al fatto che non siamo stati in grado di cercare le cause della felicità dentro di noi.
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E' da dentro che parte tutto. Il bello, così come il brutto, la luce, così come il buio, sono nostre proiezioni. Certo, magari nessuno, in una società gretta e dormiente come la nostra, ci ha mai educati al bello, forse perché nemmeno i nostri genitori, educatori, allenatori o amici erano stati educati, a loro volta, a vederlo, cercarlo, fino a realizzarlo.
Allora occorre smettere di cercarla fuori, la felicità, bisogna cominciare, se davvero la si vuole trovare, a destrutturarsi da tutti i preconcetti che ci impediscono, alla stessa guisa di paraocchi, di vederla prima dentro di noi, questa felicità.
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Bisogna capire che per essere felici non occorre avere il televisore 50 pollici, il SUV o la casa con giardino, quello è un completamento esterno che, se c'è, non è una cosa sbagliata. Tuttavia, per cominciare ad assaporare, a vedere, sentire, toccare con mano la felicità, si dovrà cominciare a guardare nell'ultimo posto dove, fino a poco tempo fa, non si sarebbe mai sospettato di trovarla: DENTRO DI NOI.
Noi abbiamo già tutto ciò che ci serve per essere felici, basta smettere di cercare di essere perfetti, di possedere sempre più cose, di non essere soddisfatti del proprio lavoro, di resistere alla Vita. Felice non è necessariamente chi va al supermercato in Porsche o possiede l'attico a Montecarlo, quella è ricchezza esteriore.
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La Vera Felicità consiste nello smettere di resistere alla Vita, accettandola così com'è e vivendola momento per momento; essere felici significa vedere la perfezione dell'istante smettendo, al contempo, di cercare la liberazione in un futuro che è solo nelle nostre menti; felicità è raggiungere la pace, causa della felicità, nel bel mezzo delle tempeste emotive prodotte dai nostri pensieri caotici, tutto il resto è dipendenza dal mondo esterno.
Occorre smettere di essere schiavi dell'esterno per poter cominciare ad abbracciare, esplorare e, infine, realizzare, il nostro potenziale interno. A questo va affiancato un lavoro volto alla centratura su di sé, lavoro che ci renderà indipendenti dall'esterno e completi nell'accettazione di quelle che, fino a poco tempo prima, consideravamo delle imperfezioni.
Vincenzo Bilotta