domenica 28 febbraio 2021

Lo spazio sacro

Dentro ognuno di noi c'è un luogo di pace, di presenza, di silenzio. Questo luogo di pace, tuttavia, nella Vita caotica di oggi, viene spesso ad essere offuscato e scosso dalle mille inquietudini che ci fa vivere la nostra mente, inquietudini che ci creiamo a causa della nostra mancanza di centratura.

Il problema fondamentale è che noi diamo potere all'esterno e, così facendo, viviamo nell'illusione che andrà tutto bene solo se fuori le cose vanno come abbiamo previsto. Poiché l'esterno, la Vita, sono un continuo fluire, a volte anche fin troppo impetuoso, ecco che spesso, molto spesso, le cose non vanno come da noi previsto e, proprio per questo, ci sentiamo, arrabbiati, impauriti, depressi, scontenti, frustrati.

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Tutte queste sensazioni, questo malcontento di fondo che viviamo è solo pura illusione e deriva dalla mancanza di un proprio centro, di una propria oasi di pace. Quando parlo di centro non mi riferisco al fatto che dobbiamo aprire un centro di consapevolezza dove riunirci tutti assieme per meditare o fare altri tipi di attività, nulla di tutto ciò. 

Quando parlo di centro, mi riferisco alla centratura su di sé, alla possibilità di trasmutare le circostanze esterne a proprio esclusivo vantaggio dopo aver avuto la capacità/il coraggio, di riconoscere il caos interiore, quello stesso caos al quale non abbiamo mai dato nessuna importanza e che, nonostante tutto, ci ha dominati fino ad oggi, ciò a causa della nostra scarsa consapevolezza e di un'attenzione rivolta solo ed esclusivamente all'esterno di noi.

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Centrarsi significa creare, ampliare e fare della propria interiorità un'oasi di pace, un luogo sacro dove rifugiarsi quando fuori infuriano le tempeste della Vita che sembrerebbero, almeno all'apparenza ne avrebbero tutta l'aria, volerci spazzare via assieme a tutte le nostre vacillanti certezze.

Riconoscere la propria interiorità è la conseguenza dell'aver preso coscienza del fatto che tutto ciò che sta là fuori (eventi, persone, cose) è solo un riflesso di ciò che abbiamo dentro. In altre parole, noi proiettiamo e viviamo fuori ciò che abbiamo pensato dentro. Se riusciamo a prenderne coscienza, solo allora possiamo trasmutarlo fino a veder cambiare, di pari passo, anche ciò che sembrava la realtà statica a noi esterna.

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Quando si è centrati, quando si comincia a conoscere il luogo sacro interiore, si diventa invulnerabili. La persona centrata, infatti, una volta riconosciuta la propria responsabilità interiore per ciò che accade all'esterno, diventa invulnerabile rispetto agli eventi caotici che accadono nella quotidianità. Questa invulnerabilità le deriva dal fatto che essa ha acquisito il potere di cambiare i propri pensieri e, di conseguenza, il proprio sentire interiore per poi trasformare anche l'esterno.

Da ciò si capisce bene come sia necessario lo sviluppo di capacità introspettive. Solo così, infatti, si avrà modo di esplorare, riconoscere ed amare la propria interiorità, trasmutandone quegli aspetti che arrecano in noi preoccupazione, paura, rabbia e tutte quelle forme di inquietudine che, fino ad oggi, non ci avevano permesso di dimorare nella pace interiore nonostante le tempeste, gli tsunami esterni.

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Va ricordato che, una volta riconnessi col proprio centro, una volta ripulito il nostro spazio personale fino a farlo diventare la nostra oasi di pace interiore, dovremo ripulire anche l'esterno cambiando, ad esempio, lavoro, amicizie, città, abitudini e, in generale, ciò che potrebbe impedirci la realizzazione e il mantenimento del nostro spazio sacro.

Lo spazio sacro, pertanto, dovrà essere quella parte di noi, la più intima, profonda e benedetta, che dovremo rendere invalicabile da parte degli accadimenti esterni, in maniera tale da renderlo un rifugio sicuro durante le tempeste di particolare intensità.

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Per completare e consolidare il lavoro volto alla centratura e alla conseguente creazione di uno spazio sacro, dovremo sviluppare, com'è ovvio, una totale indipendenza dall'esterno (persone, cose, eventi). Dopotutto l'esterno, si sa, è una creazione più o meno inconscia da parte del nostro interno. 

Solo dopo aver creato il nostro spazio sacro potremo essere, finalmente, al sicuro dalle opinioni, azioni, giudizi altrui preservando, così, per noi tutta la vitalità che prima avevamo sprecato dando potere a ciò che, alla fine, era solo una nostra proiezione.

Vincenzo Bilotta

domenica 14 febbraio 2021

A cosa serve il silenzio?

Fin da piccoli abbiamo imparato l'arte di esprimerci. Lo facevamo, dapprima, attraverso i gesti, poi abbiamo imparato ad esprimerci attraverso le parole. Ci hanno sempre insegnato che le cose vanno dette, vanno espresse, che i silenzi non servono proprio a nulla. Anzi, dei silenzi nessuno mai ci ha parlato, non nella quotidianità, una quotidianità fatta di fin troppe parole.

Alla fin fine, noi parliamo per esprimere concetti, intrattenere conversazioni, farci capire dagli altri e stabilire dei ponti comunicativi, ma non sempre è così. Spesso le parole, lungi dall'unire le persone, le separa, a volte in maniera definitiva. Tutto ciò è dovuto al fatto che la maggior parte delle persone si esprime attraverso le parole ma senza pensare agli effetti che, in determinati contesti, avranno su chi riceve il messaggio che vogliono trasmettere.

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Pochi di noi sono coscienti di sé, del potere che hanno le parole e, ancor meno, degli effetti che possono avere su chi le ascolta durante una conversazione. A volte sarebbe meglio stare in silenzio, in ascolto, per poter consolidare un rapporto interpersonale, senza spreco di frasi fatte, senza troppo fare, semplicemente rimanendo presenti, facendo sentire la nostra vicinanza a chi spesso, pur non chiedendolo in maniera esplicita, ne ha tuttavia molto bisogno.

Chi lavora su di sé e segue un cammino spirituale sa quanto valga, molto spesso, un silenzio, quanto lo stare senza parlare, semplicemente ascoltando l'altro, possa risanare i rapporti, sciogliere le tensioni, migliorare le relazioni interpersonali.

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Ascoltare senza parlare è un'arte, un po' come la meditazione. E, proprio come la meditazione, nessuno ce ne parla, nessuno ce la insegna a scuola o a casa, tranne in casi rari. In tutti gli altri casi dobbiamo essere noi ad imparare, sia che si tratti di meditare o di riuscire a mantenere i silenzi nei momenti opportuni.

Ma nella nostra società, una società fondata sulle parole, sugli intercalari, sulle frasi fatte, chi non parla è visto come un taciturno, un introverso, una persona che ha problemi di gestione dei rapporti interpersonali, questo accade soprattutto in occidente, dove tutto va di corsa, dove non c'è mai tempo per noi stessi, figuriamoci per gli altri!

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E così molte relazioni si frantumano per le troppe parole e il poco ascolto, così come i rapporti lavorativi o di amicizia, ciò perché molte volte non si è sviluppata la capacità di ascolto lasciando, invece, fin troppo spazio al volere dire la nostra a tutti i costi, al parlare senza sapere, a volte, nemmeno cosa si dice, spesso non valutando gli effetti delle nostre parole sull'interlocutore.

Ancora peggio, al giorno d'oggi è diffusa la moda di parlare tramite messaggi attraverso i vari strumenti di comunicazione informatici, con la conseguenza che, non essendo le parti presenti di persona, i fraintendimenti senza possibilità di chiarimento immediato sono all'ordine del giorno. Questa è la nostra società attuale, una società in cui si parla tanto senza comunicare nulla, si ascolta poco e si pensa troppo, una società in cui non si lascia spazio all'altro, al silenzio, alla riflessione.
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Ecco che il silenzio acquista un suo significato. Ma a cosa serve il silenzio? Secondo me il silenzio nasce dall'esigenza, sempre più impellente dell'essere umano, di tornare ad ascoltare se stesso, i segnali del proprio corpo, questo in un primo tempo. In un secondo tempo il silenzio va condiviso, dall'interno e dopo aver ascoltato se stessi, con l'altro, dedicandogli la nostra attenzione, il nostro tempo, i nostri spazi, quegli stessi spazi che, in passato e come fa la maggior parte delle persone oggi, avremmo riempito di parole spesso prive di significato, dette tanto per togliere spazio all'altro, nel bisogno compulsivo di dire la nostra a tutti i costi ed avere l'ultima parola.

Il silenzio sana, sana i rapporti. Il silenzio evita, evita i conflitti, i fraintendimenti, il dolore, per sé e per gli altri, dolore che deriva spesso da parole che feriscono perché non pensate, ma vengono dette per riempire degli spazi vuoti, che non sono gli spazi interni ad una conversazione, ma gli spazi interiori individuali, quegli stessi spazi che non si ha il coraggio di guardare senza, per forza, doverli riempire di inutili nozionismi.

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Da oggi proviamo ad esercitarci nel silenzio, nell'ascolto dell'altro. Manteniamo un silenzio attivo, parliamo senza mai coprire le parole dell'altro magari alzando il tono della voce per non essere interrotti, sentiamole dentro, le parole, prima di inserirle nella conversazione, valutiamo se ne vale la pena dire certe cose o se, invece, è meglio rimanere in ascolto, in accoglienza, PRESENTI A SE STESSI e, di conseguenza, all'altro quale nostro specchio.

Vincenzo Bilotta



lunedì 1 febbraio 2021

La differenza fra il religioso e lo spirituale

"Religioso è colui il quale teme l'inferno. Spirituale, invece, è chi l'inferno lo ha attraversato facendo pace coi suoi demoni interiori." (Vincenzo Bilotta)

Oggi voglio parlarvi di una differenza, in particolare voglio trattare l'argomento riguardante la distinzione che passa fra l'essere religiosi rispetto all'essere spirituali. Questa differenza è fondamentale e, a seconda dei casi, può creare unione o separazione fra i popoli.

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Comincerò col parlarvi della persona religiosa. Esistono differenti tipi di religione. Ogni popolo di ogni parte del pianeta e sin da tempi remoti, ha sempre sentito la necessità di credere in qualcosa di superiore, qualche entità in grado di proteggerlo, ascoltarlo, aiutarlo nella Vita quotidiana quando sentiva particolare bisogno di un aiuto superiore.

Da lì ecco nascere le religioni, ognuna col proprio rappresentante, ognuna con le proprie regole di condotta morale, con i propri divieti ed imposizioni. Ben presto però, in contemporanea col nascere delle religioni, ecco nascere anche le divisioni dovute ad un diverso modo di vedere, vivere e comportarsi imposto dai precetti dei differenti culti.

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Queste divisioni, operate dalle differenti religioni, lungi dal portare unità e pace nel mondo hanno determinato guerre, persecuzioni, saccheggi, il tutto in nome di un sentimento di superiorità che si è voluto far prevalere da parte di un credo rispetto ad un altro.

Fatta questa premessa si capisce bene come la persona religiosa, pur riuscendo a trovare un suo equilibrio all'interno del culto professato, tuttavia tenderà ad avere una visione unilaterale del mondo, visione collegata e controllata dai precetti ai quali ha deciso di aderire una volta che ha cominciato a professare quel determinato credo.

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Da qui, com'è chiaro, sorgeranno delle inevitabili separazioni fra persone appartenenti a differenti tipi di culto religioso, separazioni che, come ho avuto modo di accennare prima, hanno portato nel corso dei secoli a conflitti, uccisioni, odio razziale.

Dopo aver parlato della persona religiosa, voglio adesso parlarvi della persona spirituale. La persona spirituale è quella che non aderisce a nessun tipo di credo, semplicemente si limita a vivere la Vita vedendo il divino dappertutto, un pò come facevano gli animisti nella preistoria. Questa visione delle cose come dotate di un'anima, di una divinità interiore, porterà la persona spirituale a vivere una sensazione di unità con tutte le altre persone, cose, animali, minerali esistenti sul pianeta, senza giudizio né conflitto di sorta.

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La spiritualità e, di conseguenza, la persona spirituale, sono praticabili a patto che ci si sia, prima, liberati dalla religiosità di origine, quella che, per intenderci, attraverso i suoi precetti e dogmi, potrebbe tenerci ancora separati da tutto il resto del creato attraverso l'imposizione di un modo di vedere che è, spesso, diametralmente opposto rispetto ad un qualsiasi altro credo religioso.

Dopo essersi affrancati dal senso dell'obbligo e di separazione vissuto, ma prima ancora sentito, attraverso l'adesione ad un culto piuttosto che ad un altro, poco importa, si dovrà percorrere il cammino in maniera autonoma, cominciando a vivere e sentire le cose per come sono, un'esperienza da fare in prima persona. L'esperienza religiosa, infatti, la si vive attraverso lo studio dei testi sacri, quella spirituale, invece, è un'esperienza pratica, un sentire più che una conoscenza derivante dallo studio, conoscenza che dovrà portare, attraverso la pratica, alle proprie origini, e cioè all'unità nell'accettazione in prima persona di noi stessi, così come siamo, e degli altri in quanto nostra proiezione/prolungamento.

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Ma per essere spirituali occorrerà non cadere nella trappola di far diventare religiose pratiche quali la meditazione o lo yoga. Sì, perché la tendenza potrebbe essere, in molti casi, quella di dipendere da qualcosa di trascendente e, una volta intrapreso il cammino di liberazione attraverso la pratica della meditazione, farla diventare una pratica religiosa.

La spiritualità non può essere religione, tuttavia il religioso può essere spirituale, a patto che si approcci al mondo della spiritualità con cuore aperto, senza giudizio e accetti, al contempo, le altre religioni come riflessi dello stesso specchio d'acqua, in fondo tutto è uno e ciò che ognuno di noi vuole è essere connesso a tutto il resto, oltre ogni descrizione del mondo operata dai testi sacri e nel loro rispetto, per carità, ma in uno stato di apertura tale da fargli trascendere giudizi nei confronti degli altri credo i quali, lungi dal far percepire, unione, pace ed armonia nel mondo, hanno portato, fino ad oggi, solo morte e distruzione.

Vincenzo Bilotta