domenica 21 ottobre 2018

Morire di odio o vivere di perdono?

Morire di odio o vivere di perdono? Mica facile! Soprattutto in una società come la nostra, basata sull'avere, sull'apparire, sul rispetto di un'immagine che esiste come riflesso di un'allucinazione collettiva che altro scopo non ha se non quello di alimentare l'ego e l'arte di apparire belli agli altri a dismisura.

Ecco che, in contesti come questi, in cui l'ego regna sovrano su tutte le altre percezioni di quella che è la realtà se solo si avessero OCCHI PER VEDERE al di là dell'allucinazione che, attraverso l'educazione-programmatica, ci hanno spacciato per vera, il perdono occupa uno spazio marginale e a volte è ampiamente sostituito dai suoi opposti: desiderio di vendetta, rabbia, angoscia, ansia, fino ad arrivare all'odio puro.
(Immagine presa dal web)

"Odiare è come bere veleno sperando che un altro muoia" diceva Sant'Agostino. E non a caso. Basta conoscere un minimo di fisiologia umana per capire come il nostro corpo muti la propria chimica al mutare delle emozioni da noi vissute a livello mentale. Si sa come, ad esempio, degli stati di continuo stress riducano sensibilmente, se protratti per lungo tempo, le difese immunitarie fino a sfociare nella malattia vera e propria o squilibrio energetico come sarebbe meglio chiamarla, visto che di questo si tratta.

Nella nostra società odiare è la norma e le persone si contentano di morire odiando invece di vivere amando nel perdono completo. Chi odia una persona per aver subito da parte di quest'ultima uno sgarbo, soffre sicuramente di più di chi ha commesso lo sgarbo. Ciò è dovuto al fatto che, molto spesso, chi ferisce non ne è nemmeno cosciente, costituendo per lui la norma quel tipo di comportamento che, tuttavia, è in grado di arrecano un danno a chi lo subisce.
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Se si odia ne risente anche il corpo, ciò in quanto per odiare è necessario un dispendio energetico notevole. Queste energie spese al solo scopo di odiare, verranno poi a mancare all'organismo per portare avanti i diversi processi fisiologici in grado di mantenere stabile l'equilibrio omeostatico del nostro corpo.

Ad ogni pensiero, come ben sappiamo (per ulteriori approfondimenti in merito puoi leggere il mio articolo FISIOLOGIA DI UN'EMOZIONE) corrisponderà una reazione emozionale e chimica specifica da parte del cervello prima e, in un secondo tempo, questa emozione si andrà a manifestare nel corpo fisico.
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Si capisce bene come, in questo contesto, un sentimento come l'odio possa fare parecchi danni a livello mentale e fisico, ciò in termini di sofferenza e stress, portati al limite di sopportazione, specie se si odia da parecchio. Chi odia, infatti, è sempre sotto adrenalina, in risposta al sistema ATTACCO O FUGA, di atavica concezione.

Col tempo, col prolungare questo sentimento deleterio per il nostro organismo, ecco che potrebbe insorgere uno squilibrio energetico derivante proprio da questo conflitto irrisolto. Da qui nascono le diverse malattie, molte delle quali mortali. Se chiedete ad una persona che sta male se vuole guarire, vi sentirete rispondere di sì, naturalmente. Ma se quella persona sta male proprio a causa dei sentimenti di odio che porta avanti e voi glielo fate notare, spiegandole che può riacquistare la salute a patto che smetta di odiare e cominci a perdonare, lei vi risponderà, nel 90% delle ipotesi, che non è disposta a perdonare.
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Sì, la gente è disposta a morire odiando piuttosto che a salvarsi attraverso gli effetti benefici del perdono! Il perdono, lo smettere di odiare, infatti, sono visti come un mollare, un perdere la sfida, come essere dei perdenti. 

Ma perché chi perdona è più forte? La spiegazione ha poco a che fare con la forza intesa come superiorità nei confronti di chi, ferendoci, era inconsapevole e, di conseguenza, inferiore a noi. Chi perdona è più forte perché, cambiando tipo di pensieri, trasformerà inevitabilmente anche la chimica corporea attraverso i nuovi impulsi e le nuove sostanze chimiche, al secolo endorfine, oppiacei naturali prodotti dal nostro cervello, e questo porterà ad una riduzione entro i limiti dei livelli di stress ed un corrispondente innalzamento dei livelli immunitari.
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Ecco spiegato perché è meglio vivere di perdono piuttosto che morire di odio/stress! Adesso la scelta spetta a voi. Ovvio, il perdono non implica delle conseguenze di tipo positivo solo a livello fisico, il che basterebbe da solo per invogliare a praticarlo ogniqualvolta se ne avrà l'occasione per farlo, ma le conseguenze saranno anche esterne a noi, visibili da tutti alla luce del giorno.

Come ben sappiamo, il cambiare pensiero trasforma chi pensa, ma non solo. Poiché il pensiero crea la materia, ecco che, inevitabilmente, chi odia creerà all'esterno delle situazioni che andranno ad alimentare in maniera consistente l'odio già provato mentre, viceversa, chi vive nel perdono, nella compassione e nell'Amore ed è in grado di fluire con la Vita, ecco che attirerà a Sé altre situazioni, persone e cose in grado di potenziare questo meraviglioso sentimento permettendogli di vivere appieno la Vita al massimo delle proprie potenzialità col minimo spreco di energie in pensieri inutili.

Vincenzo Bilotta

domenica 7 ottobre 2018

Diventare adulti

Crescere comporta uno sviluppo, una maturazione che porterà alla fase finale, l'età adulta. Quello della crescita è un fenomeno presente in natura in tutte le creature, sia terrestri che acquatiche. Anche nell'essere umano, in teoria, ciò dovrebbe avvenire ma, di fatto, avviene raramente. La conseguenza sarà una terra popolata da individui che, nella migliore delle ipotesi, avranno un livello di maturità simile a quello di un bambino dell'età di sette anni circa.

Certo, fisicamente si cresce, si diventa adulti, ci si sposa, si mettono al mondo dei figli. Infatti, questo articolo parla del divenire adulti non in senso fisico, quello è un processo naturale, spontaneo, che non necessita di alcuno sforzo, ci pensa il nostro codice genetico ereditato in milioni di anni di evoluzione. Questo articolo parla del diventare degli adulti completi nel senso non solo fisico ma, anche e soprattutto, psichico.
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Il vero adulto non è chi ha già la barba o, nel caso della donna, chi ha già una terza di seno e dimostra una certa precocità. Vero adulto sarà quella persona che avrà saputo sviluppare quelle capacità che ogni essere umano possiede in embrione, ma che solo una minima percentuale riesce ad esprimere appieno. Queste potenzialità psichiche sono le sole che potranno far sì che una persona possa essere considerata adulta.

Ma come si fa? Non basta il crescere e l'andare a scuola, molti di voi si staranno chiedendo? No, è la risposta, non basta, anzi a volte proprio l'educazione- programmatica ci rende degli eterni bambini e ci ancora a delle abitudini che, se non bypassate in maniera cosciente, ci lascerà fermi ad un'età che non si avvicina per nulla a quella di un adulto.
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Cosa manca alle persone, oggi più che mai, per essere considerate a pieno titolo e a livello psicofisico adulte? Ciò che manca è la crescita e il distacco innanzitutto dalla famiglia di origine e dall'attaccamento-dipendenza ai genitori. Di solito i maschi tendono a dipendere dalle madri e le femmine dai padri.

Certo, molti si sposano giovani, ma ciò, molto spesso, lungi dall'essere segnale di un'avvenuta maturazione, porta i segni della una ricerca di un "genitore di scorta" nel futuro partner. Così, spesso, molto spesso, gli uomini cercano una donna che continui ad accudirli, lavandogli gli indumenti, cucinandogli i pasti e quant'altro, mentre le donne cercano una figura paterna, che sappia dare loro protezione e sicurezza economica.
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Insomma, l'uomo e la donna non completamente adulti cercano nel rapporto di coppia una continuazione del rapporto genitore-figlio/a per non crescere mai perché, in questi casi non si potrà quasi mai maturare. Una fase importante, infatti, affinché si possa divenire degli adulti completi ed indipendenti, è costituita dalla Vita fuori dal guscio protettivo della famiglia.

Sempre più persone, specie in Italia, vivono fino a tarda età coi genitori e ne dipendono, spesso, anche a livello economico. In molti paesi europei i giovani vanno via da casa anche prima del raggiungimento della maggiore età e così hanno modo di conoscere il mondo e la Vita coi propri occhi e non solo attraverso il processo educativo-programmatico.
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Per diventare adulti, per cominciare ad essere indipendenti, bisognerebbe passare dalla famiglia alla Vita da single, per cominciare ad essere perfettamente autonomi, indipendenti e imparare a vivere con gioia in compagnia di se stessi. Solo chi si separa dalla famiglia e vive per un periodo di tempo più o meno lungo, da solo/a, può cominciare a conoscere realmente se stesso/a con le proprie reali potenzialità.

Solo imparando a cavarsela da soli potrà sorgere quel senso di responsabilità tipico dell'adulto in senso psichico. Pian piano, uscendo dalla famiglia e vivendo in maniera autonoma, si comincerà ad esplorare il mondo esterno ma, soprattutto, si avrà modo di conoscere e valorizzare se stessi, con il proprio mondo interiore, ricco di potenzialità e qualità che possono essere sviluppate solo distaccandosi dai genitori, ciò per legge di natura.
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Ciò non significa rinnegare la famiglia di origine o smettere di convivere perché, come qualcuno potrebbe fraintendere, questo costituirebbe un sintomo di immaturità o una forma di dipendenza, niente di più falso. Se convivete potete continuare a farlo, se avete dei genitori potete continuare, in ogni caso, a vederli/sentirli.

Quello che potreste cambiare, semmai, è il vostro atteggiamento nei confronti del partner o genitore di turno e chiedervi se li frequentate in una condizione di dipendenza/bisogno di attenzione tipica dell'infanzia, oppure se riuscireste a farne a meno avendo maturato la capacità di cucinarvi un pasto caldo, di badare a voi stessi sapendo anche stare da soli e di fare le scelte giuste in maniera totalmente autonoma, responsabile ed evoluta.

Vincenzo Bilotta