Fin da piccoli abbiamo imparato l'arte di esprimerci. Lo facevamo, dapprima, attraverso i gesti, poi abbiamo imparato ad esprimerci attraverso le parole. Ci hanno sempre insegnato che le cose vanno dette, vanno espresse, che i silenzi non servono proprio a nulla. Anzi, dei silenzi nessuno mai ci ha parlato, non nella quotidianità, una quotidianità fatta di fin troppe parole.
Alla fin fine, noi parliamo per esprimere concetti, intrattenere conversazioni, farci capire dagli altri e stabilire dei ponti comunicativi, ma non sempre è così. Spesso le parole, lungi dall'unire le persone, le separa, a volte in maniera definitiva. Tutto ciò è dovuto al fatto che la maggior parte delle persone si esprime attraverso le parole ma senza pensare agli effetti che, in determinati contesti, avranno su chi riceve il messaggio che vogliono trasmettere.
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Pochi di noi sono coscienti di sé, del potere che hanno le parole e, ancor meno, degli effetti che possono avere su chi le ascolta durante una conversazione. A volte sarebbe meglio stare in silenzio, in ascolto, per poter consolidare un rapporto interpersonale, senza spreco di frasi fatte, senza troppo fare, semplicemente rimanendo presenti, facendo sentire la nostra vicinanza a chi spesso, pur non chiedendolo in maniera esplicita, ne ha tuttavia molto bisogno.
Chi lavora su di sé e segue un cammino spirituale sa quanto valga, molto spesso, un silenzio, quanto lo stare senza parlare, semplicemente ascoltando l'altro, possa risanare i rapporti, sciogliere le tensioni, migliorare le relazioni interpersonali.
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Ascoltare senza parlare è un'arte, un po' come la meditazione. E, proprio come la meditazione, nessuno ce ne parla, nessuno ce la insegna a scuola o a casa, tranne in casi rari. In tutti gli altri casi dobbiamo essere noi ad imparare, sia che si tratti di meditare o di riuscire a mantenere i silenzi nei momenti opportuni.
Ma nella nostra società, una società fondata sulle parole, sugli intercalari, sulle frasi fatte, chi non parla è visto come un taciturno, un introverso, una persona che ha problemi di gestione dei rapporti interpersonali, questo accade soprattutto in occidente, dove tutto va di corsa, dove non c'è mai tempo per noi stessi, figuriamoci per gli altri!
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E così molte relazioni si frantumano per le troppe parole e il poco ascolto, così come i rapporti lavorativi o di amicizia, ciò perché molte volte non si è sviluppata la capacità di ascolto lasciando, invece, fin troppo spazio al volere dire la nostra a tutti i costi, al parlare senza sapere, a volte, nemmeno cosa si dice, spesso non valutando gli effetti delle nostre parole sull'interlocutore.
Ancora peggio, al giorno d'oggi è diffusa la moda di parlare tramite messaggi attraverso i vari strumenti di comunicazione informatici, con la conseguenza che, non essendo le parti presenti di persona, i fraintendimenti senza possibilità di chiarimento immediato sono all'ordine del giorno. Questa è la nostra società attuale, una società in cui si parla tanto senza comunicare nulla, si ascolta poco e si pensa troppo, una società in cui non si lascia spazio all'altro, al silenzio, alla riflessione.
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Ecco che il silenzio acquista un suo significato. Ma a cosa serve il silenzio? Secondo me il silenzio nasce dall'esigenza, sempre più impellente dell'essere umano, di tornare ad ascoltare se stesso, i segnali del proprio corpo, questo in un primo tempo. In un secondo tempo il silenzio va condiviso, dall'interno e dopo aver ascoltato se stessi, con l'altro, dedicandogli la nostra attenzione, il nostro tempo, i nostri spazi, quegli stessi spazi che, in passato e come fa la maggior parte delle persone oggi, avremmo riempito di parole spesso prive di significato, dette tanto per togliere spazio all'altro, nel bisogno compulsivo di dire la nostra a tutti i costi ed avere l'ultima parola.
Il silenzio sana, sana i rapporti. Il silenzio evita, evita i conflitti, i fraintendimenti, il dolore, per sé e per gli altri, dolore che deriva spesso da parole che feriscono perché non pensate, ma vengono dette per riempire degli spazi vuoti, che non sono gli spazi interni ad una conversazione, ma gli spazi interiori individuali, quegli stessi spazi che non si ha il coraggio di guardare senza, per forza, doverli riempire di inutili nozionismi.
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Da oggi proviamo ad esercitarci nel silenzio, nell'ascolto dell'altro. Manteniamo un silenzio attivo, parliamo senza mai coprire le parole dell'altro magari alzando il tono della voce per non essere interrotti, sentiamole dentro, le parole, prima di inserirle nella conversazione, valutiamo se ne vale la pena dire certe cose o se, invece, è meglio rimanere in ascolto, in accoglienza, PRESENTI A SE STESSI e, di conseguenza, all'altro quale nostro specchio.
Vincenzo Bilotta